Sam il duro

Sto in auto, al finestrino. Non guido io. Una rarità. Fuori piove ed oltre questi vetri bagnati due ragazze con zaino in spalla all’uscita da scuola corrono in cerca di un riparo. E questa loro corsa porta me lungo una strada che attraversa chissà quali posti dei miei ricordi e per qualche istante vengo catapultato alla fine degli anni novanta….

Un tempo avevo un amico. Si chiamava Sam. Per noi del posto semplicemente <<il duro>>. Laconico il suo (oggi definito) outfit: jeans usurati, t-shirt e a seconda delle stagioni, con maglioncino di quelli a bottoni o giubbotto, rigorosamente sbottonati. Era una sorta di porto sicuro dove attraccare: quando ti sentivi solo, quando dubbi esistenziali ti affliggevano o semplicemente quando le acque erano agitate. Ricordo la sua finta spavalderia, il suo <<stai calmo, stai con me non ti può succedere niente>> molto più grande di lui; il suo ruolo di guida che un po’ tutti gli davamo ma che lui mai aveva osato assumere. La pioggia e quelle ragazze mi riportano a Sam perché lui la definiva l’acqua che viene a portare via il vecchio: pulisce, abbevera e fa posto al nuovo. Soprattutto la pioggia di marzo. Quella che se è accompagnata dai tuoni, quest’ultimi risvegliano i serpenti dal letargo. Come se gli desse la sveglia. Pioggia a dirotto e serpenti striscianti Sam li rendeva a noi con occhi diversi. Come un dono. Non sempre noi capivamo.
Ricordo le serate al ritrovo con tirate tarde, come quella notte che facemmo le 3.18! Molti di noi non ancora maggiorenni ragionavano su come doveva andare il mondo, sulle iniquità, sui popoli senza patria, sulla guerra nella ex Jugoslavia, la politica e sull’immancabile pallone; divoratore mai sazio di caviglie e menischi in nome della gioia di una rete, del sudore appiccicato alla maglietta e della libertà di una cavalcata palla al piede sulla fascia sinistra, veloce come un ghepardo.
Ci faceva parlare molto Sam. Nel senso che amava più ascoltare che dirigere il dibattito e poteva succedere anche che restava in silenzio per tutta la sera. Poi verso la fine, Sam si alzava, diceva la sua col suo incidere e senza salutare andava via. Ma non perché era arrabbiato. Perché era <<il duro>>, era Sam il duro. Belli quegli anni con gli occhi di oggi, che si posano su queste due ragazze in cerca di un riparo dalla pioggia. Sono grato. Anche a Sam. Al tempo che mi ha donato.

E chissà oggi cosa penserebbe di questi tempi nostri. Di questa nuova normalità come sentito dire in tv per mesi, di una tragedia trasportata da un virus e dell’eterno palcoscenico mediatico dove tutti sono tutti e tutti sanno tutto. Chissà le parole di Sam dopo aver ascoltato…. E di questa nuova guerra alle porte di casa nostra, mentre tutti si erano dimenticati delle altre venti circa già in corso nel mondo.

E chissà oggi dov’è davvero Sam. A lui il borgo stava stretto. Non lo diceva mai, diceva di amarlo e forse allo stesso modo lo odiava. Cercava altri palcoscenici ed altri sipari. Partì. Con la moto, uno zainetto ed i lunghi capelli rigorosamente sciolti. Salutò tutti e quell’epopea finì. Non lo rivedemmo più. Nella bacheca al ritrovo, scrivemmo: <<Sam il duro è morto e nessuno lo sa, ma al prossimo sipario aperto lui ci sarà….. e non morirà>>.

La macchina si ferma. Così come la pioggia. Le ragazze si staranno asciugando l’acqua addosso che porterà via il loro vecchio per far posto al nuovo. Scendo. Saluto Domenico e prima di chiudere lo sportello gli dico <<ma ti ricordi di Sam?>> e lui mi fa <<certo, la parte più disincantata e frivola di quello che siamo stati, sogno spesso di renderla in qualche modo possibile, con i nostri anni addosso nei tempi di adesso>>.

Chiudo la portiera, Domenico riparte, dal balcone i bimbi mi urlano……. <<papà, vieni>>.

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